Morloi's Digital Dungeon

Il Data-driven marketing è la tomba della creatività.

Sep 25, 2021

Ma non solo, probabilmente del mercato stesso: giocare a fare gli psicostorici del marketing uccide ogni prospettiva di innovazione.

Questi post arrivano da una vecchia newsletter, ripescati accuratamente perché ritengo che abbiano ancora un valore. Non sono stati editati, per cui possono contenere riferimenti ormai obsoleti: anche dell'obsolescenza, oramai praticamente istantanea, dovremmo parlare, a lungo.

Salve, io sono Alessandro “Morloi” Grazioli e questa è Ex-perimentia, il diario di un vecchio brontolone che guarda l’internet ed il mondo da un oblò.

Dunque, settembre è quasi finito, siamo in autunno, e, divinità assortite volendo, siamo nuovamente in carreggiata.

Settimana scorsa ho tentato di raccontarvi qualcosa di personale, o meglio, qualcosa di mia figlia e dei suoi amici, pensando che potesse essere un pattern condiviso da altri, dopo questo periodo di DaD, ma evidentemente no. È un classico: misuriamo sempre la realtà in base alle nostre esperienze, e in base a queste misure prendiamo le nostre decisioni, con risultati altalenanti.

Questo è sempre capitato anche in ambito marketing, dove spesso le strategie di prodotto e di comunicazione, aldilà di panel, analisi di mercato e compagnia bella, erano frutto di intuizione e creatività, ovvero del saper leggere le tendenze e del saper cogliere l’attimo.

Poi è arrivato il data-driven marketing, condito con l’intelligenza artificiale: ad oggi non si muove capello se non si hanno dati sottomano.

Misurare, misurare tutto, misurare sempre.

Intendiamoci, il data-driven marketing non nasce in ambito digitale (forse lo si può legare alla nascita dei coupon cartacei - inventati da uno dei fondatori della Coca Cola - nel 1887, primo strumento di marketing in grado di dare un riscontro numerico preciso dell’efficacia della campagna), ma nel web trova il suo compimento.

Mi sono occupato digital analytics in tempi non sospetti, prima che Google Analytics esistesse, e devo ammettere che questa cosa che fosse possibile tracciare il comportamento di utenti, potenziali acquirenti, clienti, passo - passo era dirompente ed emozionante.

Così emozionante da sbalestrare i grandi mostri sacri delle analisi di mercato: fino ad allora per avere dati e riscontri, l’unica maniera possibile era affidarsi a “panel”, per cui consentire ad esperti di identificare un campione ristretto, e nella speranza significativo, di popolazione, fare domande, installare macchinetti infernali che monitoravano le preferenze televisive in cambio di gadget e premi.

Le cose da inizio 2000 si sono fatte sempre più monitorabili e complesse nello stesso tempo. L’accentramento dell’uso di internet su alcune grandi piattaforme (Google per la ricerca, i grandi Social, Amazon…) e l’avvento della connessione 24/7 tramite device portatili ha cambiato completamente le carte in tavola.

Chiaramente questa grande massa di dati è nulla senza controllo: prima consulenti, impegnati a controllare, analizzare, fare a/b test, decidere quale sia l’annuncio più performante su ad-words, poi i sistemi esperti stessi, che decidono per i consulenti.

Troverete centinaia di articoli, corsi, approfondimenti di come il data-driven marketing sia la manna assoluta per chi deve vendere, finalmente senza scommesse, finalmente sempre supportati dai dati, basta con le idee strampalate, basta con i direttori creativi, basta con le agenzie.

Musica e dati, la teoria della campana che si stringe

Primo, la teoria della campana che si stringe è tutta mia ed è maturata stamattina, per cui non vogliatemene. Secondo, prenderò come base uno dei mercati che più ha subito l’avvento del digitale, e che forse rappresenta meglio il concetto base che vorrei esprimere.

L’affidarsi completamente, o quasi, ai dati, per prendere decisioni, comporta a medio termine una stasi del mercato e una iperfocalizzazione del gusto, impoverendo la scelta e, nei fatti, distruggendo ogni possibilità di innovazione.

Sì, lo so, è una opinione un po’ forte, ma proviamo a partire da capo. Qualche anno fa fecero parlare di sé una serie di ricerche sulla qualità della musica pop dagli anni 60 in poi.

In questo articolo si cita uno studio che ha tentato di misurare a livello quantitativo complessità e varietà di diversi generi musicali nel corso del tempo.

Grafico che dimostra come complessità e varietà musicali siano scesi drasticamente dagli anni 80 a oggi

Lo studio dice diverse cose (oltre al fatto che il folk è e rimane una musica ripetitiva e poco complessa), la più significativa è che tendenzialmente i generi di nicchia iniziano poco complessi e poco conosciuti, poi arrivano ad una maturazione stilistica, che coincide(va) spesso con l’aumento di popolarità e di album usciti, per poi impoverirsi e concentrarsi su stilemi base, che sono poi quelli che tendono a vendere di più.

L’articolo del 2015 però si spinge oltre e chiarisce che le case produttrici amano investire soldi laddove sono sicuri che i soldi arriveranno: per questo in quegli anni investivano già nella data-analysis, usando strumenti come Shazam e Hitpredictor (che all’epoca erano il nuovo che avanzava). Il meccanismo era - e lo è ancora adesso, in maniera ancora più subdola e nascosta - semplice: un brano/artista emerge dai dati, sistemi automatici cominciano ad investire su di lui, la sua musica entra nella testa della gente.

Sostanzialmente per decidere su chi investire, si analizzano dati sui gusti che vanno per la maggiore, spingendo ancora di più il pedale sugli stessi gusti, generando un loop che porta ad emergere sempre gli stessi artisti, oppure sempre le canzoni con la stessa struttura, gli stessi accordi, gli stessi strumenti.

Sia chiaro, questo si è sempre fatto, ma in modo impreciso e poco automatizzato, con un processo decisionale che era fatto primariamente da intuito, fortuna e capacità di leggere in anticipo mode e tendenze.

Asse mediano del gusto imperante

In questo bellissimo schemino ho messo una simpatica gaussiana (che ci piace sempre) che indica il gradimento di un determinato genere/stilema/prodotto, desunto da una data analysis.

Al centro ho messo questo bellissimo “asse del gusto imperante”, piuttosto autoesplicativo.

L’esempio vale per la musica, ma anche per qualsiasi prodotto di cui si debba decidere un qualsiasi investimento, in sviluppo, comunicazione, produzione.

Mettiamo dunque il caso di affidarci totalmente ad un sistema perfetto di data analysis, che ci consente di individuare con sicurezza il tipo di prodotto/gusto/comunicazione su cui puntare i nostri soldi.

L’effetto che otterremo - entro probabilmente un certo limite di saturazione, che però allo stato attuale facciamo fatica a percepire - è questo:

pressione sull'asse mediano

L’investimento incontra il gusto già imperante, si produce/si comunica un prodotto il più possibile vicino all’asse mediano. Di conseguenza la gaussiana si stringe leggermente, i prodotti ai margini hanno meno investimenti e dunque escono dall’orbita dei sistemi di analisi, che concentrano ancora di più l’attenzione su un’area sempre più ristretta.

La cosa veramente grave è che l’asse mediano del gusto non si sposta di un millimetro. Ma cosa succede invece in un sistema “sano”, che punta su una intuizione nuova, su un mercato inesplorato o di nicchia, che decide deliberatamente di ignorare i dati, andando in esplorazione, puntando sulla creatività?

Investimenti fuori dalla comfort zone spostano l'asse

Se la massa di investimenti è significativa, magari trainata da analisi di “sentiment” difficilmente inquadrabili e isolabili in un data-analysis pura, quello che si può produrre, nella migliore delle ipotesi è uno spostamento della curva, anche leggero, ma percettibile.

In caso contrario semplicemente si produrrebbero oscillazioni, che comunque sarebero sintomo di un sistema vivo e non cristallizzato.

Parliamoci chiaro, nessuno avrebbe puntato sul Punk quando è emerso, se si fosse fatto affidamento ad una analisi dei dati. Eppure il Punk è uno dei movimenti musicali -e non solo- più significativi del secolo scorso, con una influenza abnorme su tutto il mercato.

Vogliamo uscire dal mercato musicale? Direi che l’esempio più eclatante è quello della Tesla, capace di inventare un mercato laddove i dati non l’avrebbero mai immaginato.

Quindi tutta questione di intuizione?

Beh, sarebbe bello. Ma sappiamo tutti che non è così: un mercato maturo non può fare a meno dei dati, ma i dati non devono diventare una scusa e uno scudo per arroccarsi.

L’abuso di scelte data-driven rappresenta un pericolo a medio periodo, si rischia di non valutare più in alcun modo creatività e ispirazione, così nella comunicazione di un prodotto, come nella sua progettazione: se per qualsiasi scelta ci si deve rivolgere ad un dato, come se fosse un magico oracolo, vuol dire che ci togliamo di dosso qualsiasi responsabilità, in un processo che diventa a lungo termine irreversibile.

Sicuramente in questo periodo ho la sensazione che ci vorrebbero più idee e meno dati.


Dj Morloi consiglia…

Silver Apples
Forse non esiste davvero un gruppo più seminale dei Silver Apples: musica elettro pop e glitch, ma fatta con strumenti fatti in casa, negli anni 60. Una storia incredibile, un gruppo da riscoprire, o da scoprire ex-novo


Master Morloi consiglia…

Consigli GdR: Not The End

Not The End // Fumble GdR
Altro prodotto completamente italiano: un salto nei giochi di ruolo moderni, con un sistema di gioco veramente innovativo. Scaricate lo starter kit, completamente gratuito, ne vale davvero la pena.